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L’appello di Nicolò prima di togliersi la vita: “Non sono una vittima, ho bisogno di supporto”

Il ragazzo, che sui social condivideva il suo quotidiano cercando anche di sensibilizzare le persone, si è tolto la vita lo scorso 16 ottobre.
A cura di Natascia Grbic
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"Non mi prendete come vittima e non mi compatite per favore. Non ho bisogno della vostra compassione, ho bisogno del vostro supporto, di un po' di amore e di un po' di affetto. Basta dire cose brutte per favore". Questo è uno degli ultimi messaggi di Nicolò, il ragazzo di 21 anni morto lo scorso 16 ottobre. Il giovane, che condivideva la sua sofferenza ma anche i suoi momenti di gioia su TikTok e aveva un largo seguito, si è tolto la vita.

Il ragazzo era seguito da professionisti che lo avevano in cura, aveva molti amici e una famiglia che lo ha sempre amato e supportato. La depressione però, un male che molto spesso viene sottovalutato – soprattutto nei giovani – era troppo forte. La sua scomparsa ha sconvolto non solo la vita di chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene, ma anche quella dei ragazzi che lo seguivano e che, via social, provavano a supportarlo nei momenti più cupi. E anche lui cercava di sensibilizzare il suo pubblico sul tema, in modo pacato e garbato, in modo da far conoscere quella che a tutti gli effetti è una malattia purtroppo spesso sottovalutata.

Tanti i video condivisi dal ragazzo, che parlava sì dei suoi momenti di fragilità, ma anche quelli della sua vita quotidiana, fatta di amici, serate in discoteca e progetti per l'università. Tanto che persone vicine alla famiglia respingono con forza il pensiero di chi crede il giovane fosse stato lasciato solo. "Nicolò era un ragazzo amato dalla sua famiglia, con tanti amici, che si batteva per affrontare le sue difficoltà, con una grande consapevolezza e un forte desiderio di mettersi in gioco – il messaggio di un'amica della famiglia, condiviso dal padre del ragazzo – Ed era un ragazzo che soffriva. Una sofferenza che la sua famiglia aveva visto, ascoltato, accolto. Lui stesso racconta dell’equipe di professionisti da cui era seguito e che ahimè sentiva non bastassero a risollevarlo dalle sue difficoltà. Puntare i riflettori contro chi ‘non avrebbe colto la sua sofferenza' mi ha fatto provare una rabbia immensa. Una rabbia contro l’incapacità di empatizzare con la sofferenza di chi Nicolò lo amava davvero. Di chi, ne sono certa, ha fatto il possibile e l’impossibile per offrirgli tutto il supporto affettivo e professionale che poteva. Di chi, come genitore, familiare o amico, ha sofferto in silenzio, impotente di fronte a un dolore che a volte è troppo difficile da affrontare".

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